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Al Qaeda, Algeria, Complotti, Conspiracy, Cospirazioni, Mali, Plots, Qatar
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Dopo la Libia e la Siria, Algeria: il vero obiettivo finale della Francia nella guerra al Mali.
Miliziani di Al-Qaeda da sacrificare in un gioco sporco che mira a creare destabilizzazione all’interno dell’Algeria e preparare la strada alla sua balcanizzazione “umanitaria” per conto NATO.
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Miliziani di Al-Qaeda sacrificabili (…più degli altri cioè…) sono stati dislocati in Mali per essere bruciati in un gioco sporco il quale mira, oltre alle risorse naturali del Mali ovviamente, a creare destabilizzazione all’interno dell’Algeria giocando su vecchie problematiche di conflitto interno tra islamisti radicali e nazionalisti algerini islamici, per spingere e provocare la rinascita di conflittualità sopite e preparare la strada alla sua balcanizzazione e successivi interventi “umanitari” per conto NATO.
Chi pensava che i miliziani di al-Qaeda in Mali e Algeria fossero solo “schegge impazzite”, distaccatesi dal “vivaio” libico, si deve ricredere e fare meglio i conti.
Perchè in realtà chi regge i fili sono sempre gli stessi burattinai, ed i miliziani di al-Qaeda trasferiti in Mali sono la parte più scadente di quei reparti di mercenari e terroristi già addestrati esattamente a questo scopo: diventare folcloristica e rumorosa carne da macello, per avere:
1) – tutte le giustificazioni d’intervento militare da parte della Francia (dietro la quale scaldano i muscoli altre nazioni NATO/Golfo)
2) – riattivare antiche, ma mai sopite del tutto, conflittualità all’interno dell’Algeria, infiltrando nuova carne infetta “islamista-salafita” per contagiare il tessuto sociale algerino.
Grazie a Dio parrebbe che i giovani algerini, al momento almeno, guardino con diffidenza queste “infiltrazioni” esterne, forse anche per merito delle recenti disastrose esperienze libiche.
Il futuro è nelle mani di Dio, ma potete star certi che i burattini Hollande e soci continueranno ad eseguire gli ordini e muoversi secondo le direttive della razza “eletta” dei petrol/finanzieri…
Redazionale di SyrianFreePress.net & TG24Siria.com Network
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L’Algeria è la vera vittima della guerra francese in Mali?
“Chi osa infastidire l’Algeria rischia di farsi mordere” (Ibrahim Boubacar Keita, ex Primo ministro del Mali)
Come previsto, l’esito della drammatica crisi degli ostaggi svoltasi nel sito gasifero di Amenas, dopo i sanguinosi assalti delle forze speciali algerine contro il gruppo terroristico, ha suscitato la reazione delle ambasciate e dei media occidentali, che non potevano perdere una tale opportunità per imporre la loro contro-verità in quella che appare già come una vera guerra psicologica contro l’Algeria. Nonostante il battage mediatico delle ultime 48 ore, diverse zone d’ombra continuano a circondare questa operazione. Motivo in più per rimanere vigili, trattandosi di esaminare un caso che non ha finito di rivelare tutte le sue carte. Molti fatti strani sono stati ignorati dai media mainstream. Vale la pena di tornarvi per illuminare meglio i problemi che cercano di nasconderci.
Innanzitutto, la prima cosa che colpisce dell’attacco terroristico che aveva come obiettivo il sito di Amenas è la sua natura spettacolare. Un gruppo terroristico multinazionale di 32 persone dalla varia origine (Algeria, Libia, Egitto, Tunisia, Mauritania, Niger, Francia e Canada), è entrato dalla vicina Libia. Centinaia gli ostaggi nel sito energetico, oltre che strategico, posizionato in una zona ben monitorata. Nei dieci anni di guerra sporca, durante il decennio nero, nessun incidente simile è accaduto nelle regioni gasifere e petrolifere del sud dell’Algeria, motore economico dell’Algeria, in quanto forniscono la maggior parte delle sue entrate in valuta estera. In questa operazione spettacolare, non si può escludere la possibilità della manipolazione di un servizio segreto impegnato in una spietata guerra speciale nella regione.
Come al solito, le accuse più contraddittorie che circolano sul web vengono alimentate dai molti fan della cospirazione. Ma in mancanza di prove convincenti e nell’attuale rischioso clima d’intossicazione mediatica, sarebbe meglio cercare di districare questo caso concentrandosi sulla domanda fondamentale: Quali sarebbero i dividendi geopolitici che potrebbero raccogliere i vari attori coinvolti in una guerra che ha avuto inizio molto prima dell’intervento francese in Mali?
Primo elemento in questa strana storia. L’intervento della Francia in Mali, così dichiarando guerra ai gruppi islamici, tra cui Ansar al-Din, che non ha mai commesso atti terroristici nel territorio del Mali o altrove. E cosa fa il gruppo scissionista dell’AQIM guidato da Moqtar Belmoqtar? Attacca in Algeria, vale a dire, l’unico Paese della regione che ha sempre espresso la sua opposizione alla guerra, da quando la Francia ha iniziato a preparare i suoi servi nei paesi africani, a rischio di apparire come la “madrina” di Ansar al-Din, come tendono a far credere siti specializzati nella propaganda anti-algerina. Nessuna azione è stata registrata contro i molti Stati ausiliari della Francia nel Sahel e nell’Africa occidentale, che hanno deciso d’inviare i loro battaglioni in Mali, eppure sono mille volte più vulnerabili dell’Algeria nell’affrontare questo tipo di azioni terroristiche.
Naturalmente, il fatto che Moqtar Belmoqtar si sia prestato al gioco del negoziato, in vista di una sua consegna ai servizi di sicurezza algerini, operazione di resa poi abortita qualche anno fa, non manca di suscitare il sospetto di alcuni analisti che lo vedono come un agente doppio. Altri arrivano al ridicolo implicandovi un’azione interna dei servizi algerini, senza preoccuparsi di spiegare, in questo caso, l’essenziale, ovvero il rifiuto dell’Algeria alla “cooperazione” proposta dalla NATO. Perché preoccuparsi di montare una simile operazione se si rifiuta anche ciò che si suppone possa essere un’eccellente vantaggio diplomatico? In realtà, in qualsiasi guerra speciale, tradimenti e rientri abbondano, questo è un altro motivo per evitare di cadere nelle storie poliziesche, di rischiare di abbandonare l’analisi geopolitica e strategica, le uniche che dovremmo tenere in conto.
Secondo elemento strano. L’attacco terroristico ha avuto luogo presso la base operativa gestita congiuntamente da tre società: algerina (Sonatrach), inglese (BP) e norvegese (Statoil). Mentre il gruppo terrorista rivendicava di voler affrontare l’intervento francese in Mali, perché fa pressione sulla Francia attaccando le compagnie petrolifere che sono di fatto le principali concorrenti della compagnia francese Total in Algeria? Ma la cosa più allarmante è la reazione di alcune ambasciate e dei media occidentali, le loro reazioni dopo gli omicidi nell’assalto delle forze speciali algerine. Se Washington ha osservato che Algeri non l’ha consultata senza ulteriori commenti, il primo ministro britannico David Cameron, ha criticato la gestione della crisi da parte delle autorità algerine.
Queste ultime avrebbero deciso d’intervenire troppo in fretta senza chiedere il parere delle potenze in questione. Che audacia da parte di queste potenze nel chiedere all’Algeria di negoziare con i terroristi che avevano messo cariche esplosive addosso agli ostaggi e minacciato di farli saltare in aria, mentre la Francia interveniva in Mali con il rischio di mettere in pericolo la vita degli ostaggi algerini ed europei trattenuti da AQIM e Mujao!
Certo, se i leader algerini che hanno la grande responsabilità di aver dato l’ordine per l’assalto, avessero avuto la minima possibilità di salvare la vita degli ostaggi attraverso il negoziato con i rapitori, e non l’avessero fatto, avrebbero un’imperdonabile colpa morale e politica. Ma sapendo il rischio che correvano mettendosi dietro ai paesi occidentali, i cui cittadini avrebbero potuto perdere la vita durante l’attacco, non c’è dubbio che fossero quasi certi che una qualsiasi altra soluzione, diversa dall’assalto, sarebbe stata più costosa in termini umani, politici, diplomatici ed economici. Il cinismo dei media e degli pseudo-esperti invitati per l’occasione non ha limiti, quando la denuncia della “brutalità” delle forze speciali algerine proviene dalle stesse persone che hanno sempre trovato scuse per gli “errori” delle forze NATO in Afghanistan e in Iraq, che non hanno esitato a bombardare feste, matrimoni, funerali e altre manifestazioni pacifiche. Salutiamo di passaggio la coraggiosa presa di posizione di Robert Fisk, che ha sottolineato nella sua rubrica sul quotidiano The Independent, “che i media occidentali non avrebbero reagito in quel modo se tra gli ostaggi uccisi, non ci fossero stati biondi con gli occhi azzurri, ma solo algerini!”
Al di là della dimensione umana della tragedia, costata la vita di tanti innocenti, e al di là del ruolo svolto da francesi e algerini, ci poniamo la domanda che conta di più, oggi: chi cerca i protagonisti principali di questa crisi? Per i francesi, l’unico problema rilevante, per cui vale la pena che la diplomazia francese tenga un basso profilo e faccia finta di avere una postura “comprensiva” verso l’attacco dell’esercito algerino, è evidentemente dovuta alla loro guerra sporca contro l’Algeria, sapendo che non potrebbero portare a compimento la battaglia in cui sono attualmente impegnati in Mali senza la collaborazione dell’esercito algerino.
Riprendendo ricercatori e esperti fasulli, come al solito, Libération ha cercato di dare una parvenza di giustificazione logica al cosiddetto “riavvicinamento franco-algerino” sulla questione del Mali. Il voltafaccia di Ansar al-Din, che ha tradito le sue promesse ad Algeri, lanciando le sue forze nel sud del Mali, avrebbe dovuto alla fine convincere il Presidente Boutefliqa a cambiare la sua disposizione, e a permettere agli aerei da combattimento francesi di sorvolare lo spazio aereo algerino. Ma questo voltafaccia è il preludio di un cambio di strategia algerina verso i gruppi islamici, ossia né più né meno che un ritorno alla linea dello sradicamento perseguita negli anni ’90 dallo stato maggiore dell’esercito algerino. Per William Lawrence: “il sorprendente assalto dei combattenti islamici nel sud del Mali, lo scorso fine settimana, alla fine ha fatto superare all’Algeria la sua riluttanza. Messo alle strette, Boutefliqa non era in grado di opporsi al sorvolo degli aerei francesi e a chiudere il confine con il Mali, anche irritando una popolazione sensibile ad ogni possibile manifestazione di “neocolonialismo” della Francia. La crisi degli ostaggi, senza precedenti nella sua ampiezza, dovrebbe avere costretto Algeri a rivedere la sua strategia contro gli islamisti.”
Il governo francese non può pretendere di meglio. Questa operazione per forzare Algeri “a rivedere la sua strategia contro gli islamisti”, rivedendo la propria politica di dialogo e riconciliazione nazionale che gli ha permesso di ricostruire il suo fronte interno, e ritornando alla politica di eradicazione a cui si richiamano i circoli più antipopolari nell’esercito e nella classe politica algerina, potrebbe causare un ritorno ai vecchi demoni della guerra civile, e quindi dare un buon pretesto all’intervento straniero nel giorno X. Ma i fatti sono testardi, e non è sicuro che i desideri di Libération si avverino presto. Anche se si confermasse che l’Algeria sia stata ingannata dai leader di Ansar al-Din, che in realtà hanno dato alla Francia un comodo pretesto per precipitare l’intervento in Mali, deve essere davvero stupido chi creda per un momento che la Francia abbia bisogno di un pretesto per scatenare una guerra, di cui tutto indicava che si stesse preparando per ragioni che hanno poco a che fare con l’avanzata dei nomadi.
Dall’inizio della crisi in Mali, l’Algeria è stata spinta incessantemente a partecipare a questa grande guerra, o per lo meno a non opporvisi attivamente. E’ posta sotto pressione dagli statunitensi, e per non perdere del tutto i contatti con i suoi vicini africani, perché purtroppo non è possibile scegliere i propri vicini, il governo algerino ha indubbiamente permesso il sorvolo del suo spazio aereo da parte degli aerei da combattimento francesi. Tuttavia, sia l’opinione pubblica che i leader algerini sono divisi sulla questione. Alcuni credono, a torto, che sia un male minore salvarsi dall’ira dello Zio Sam, in particolare, e che in questa guerra la Francia non solo è supportata dai suoi alleati della NATO, prevedibilmente guidati da Stati Uniti e Gran Bretagna, ma che ha anche il supporto, sorprendentemente, di altri due membri del Consiglio di sicurezza, Russia e Cina. Ma altre voci, anche dall’interno del sistema algerino, giustamente avvertono contro gli effetti negativi di quello che potrebbe apparire come un allineamento alla crociata francese in Mali sulla coesione nazionale, in un contesto politico doppiamente indebolito dalle tensioni sociali e dalle lotte intestine che affliggono il contesto politico della guerra di successione al Presidente Boutefliqa. E’ quindi ragionevole pensare che l’operazione, che avrebbe dovuto rafforzare il clan pro-atlantista all’interno del sistema algerino, potrebbe portare al risultato opposto. Coloro che non hanno smesso di suonare l’allarme, mettendo in guardia contro le onde d’urto della guerra nella regione, vedranno rafforzata la loro posizione.
L’Algeria sta emergendo come prima vittima della guerra francese in Mali, cosa che non può che rafforzare gli oppositori alla politica bellica francese nel sistema algerino. E questo è forse ciò che spiega le reazioni abbastanza divise nelle capitali occidentali, a seguito dell’azione delle forze speciali algerine. Se non potevano che congratularsi con la neutralizzazione del gruppo terroristico, queste capitali non potevano ammettere di non essere state consultate dal governo algerino. È un indice che non sbaglia. Se gli “amici” dei circoli occidentali avessero avuto il controllo delle operazioni, sarebbe stato difficile immaginare un tale scenario. L’opinione pubblica algerina che per lo più rimane ostile all’interventismo occidentale, e in particolare francese, nei paesi arabi e musulmani, non si sbaglia. Salutando con sollievo e orgoglio le critiche occidentali, ne vede la prova che lo Stato algerino continua, nonostante tutto, ad essere attaccato a ciò che resta dell’indipendenza e della sovranità nazionale squassata dalle interferenze delle grandi potenze negli anni ’90, durante la selvaggia apertura economica imposta da FMI e Banca mondiale, e dall’ascesa di una borghesia compradora che si è sviluppata all’ombra della privatizzazione e dell’economia rentier, riuscendo a corrompere e ad indebolire grandi settori dello Stato.
Qualunque siano i retroscena di questa operazione terroristica, una cosa è certa. Tale operazione era volta oggettivamente ad influenzare l’esito della battaglia tra i sostenitori della deriva atlantista che con il pretesto dell’apparente isolamento diplomatico dell’Algeria, vogliono giungere alla “normalizzazione” accogliendo le richieste delle capitali occidentali, e i sostenitori della duramente conquistata indipendenza nazionale, ma che oggi è più che mai minacciata dalla globalizzazione, dalla dipendenza dall’economia del petrolio e dall’alleanza tra la borghesia compradora e i centri imperialisti.
Le voci di cosiddetti “esperti”, diffuse dai media algerini, saldate a quelle degli imprenditori vicini ai circoli neo-coloniali, criticano le incongruenze del governo algerino nella lotta contro gruppi armati islamici, quando non addirittura l’accusano di complicità in ciò che equivale a un osceno ricatto, ripetuto come un ritornello dai siti specializzati nella disinformazione: o fai fuori il musulmano o sei accusato di esserne complice o istigatore! L’operazione terroristica di Amenas si inserisce in questo quadro. E’ una tattica diversiva, per allontanare il centro dei combattimenti in Mali e allentare il cappio che strangola i loro accoliti nel Paese o, più seriamente, è una sorta di “prova generale” per un attacco maggiormente coerente, in fase di preparazione, contro uno degli ultimi ostacoli al ritorno dell’Impero nella regione? Il fatto che per la prima volta in 20 anni di crisi, un sito gasifero, anche perché è un sito che fornisce il 15% della produzione algerina, sia stato oggetto di un’operazione bellica, potrebbe nascondere altri oscuri disegni. Ricordiamoci le “indiscrezioni” di Sarkozy distillate dalla stampa, che dicevano che l’Algeria sarebbe la prossima nella lista dopo la Libia e la Siria.
Non c’è dubbio che la pressione internazionale aumenterà sull’Algeria per farle assumere il ruolo di gendarme nella regione del Sahel. In un movimento islamista soggetto alle più diverse infiltrazioni, ci saranno sempre “utili idioti” che si prestano alle potenze che cercano il minimo pretesto per intervenire in una regione ricca di petrolio e di minerali preziosi. Ma questo non è un argomento sufficiente per giustificare l’ingiustificabile collaborazione con la Francia, che osa giocare nel ruolo di pompiere, mentre è il vero piromane dell’incendio partito dalla Libia e dal Mali, e che oggi minaccia di raggiungere altri Paesi della regione?
Se l’Algeria venisse mal consigliata, rientrando in una “comunità franco-africana” logisticamente sostenuta dalla NATO e diplomaticamente dai suoi partner strategici Russia e Cina, non è detto che essa non abbia le risorse per prendere tempo, fino al momento, che non tarderebbe, in cui l’incendiario-pompiere francese e i suoi servi africani saranno impantanati nel deserto del Sahel-Sahara, rivelando la vera natura della loro guerra, i cui primi crimini commessi dall’esercito del Mali, che hanno iniziato ad inquietare le organizzazioni umanitarie internazionali, sono solo un presagio di ciò che attende il Mali: massacri e voltafaccia geopolitici in prospettiva. Oggi possono diventare alleati gli avversari di domani. I servi che ora applaudono l’intervento francese contro i loro fratelli del nord, l’impareranno a loro spese, prima di quanto pensano, che la Francia non è venuta per liberarli dei gruppi jihadisti, imponendogli il suo piano di un Azawad dall’ampia “autonomia”, per sfruttare al meglio il petrolio e l’uranio nel nord del Mali.
L’Algeria, che ha interesse a restare lontana dal conflitto e a difendere la propria sicurezza inviando messaggi forti come quello che ha inviato ad Amenas, non deve dimenticare il suo dovere di solidarietà con il popolo del Nord del Mali, che potrebbe vivere un indomani terribile in mano agli indisciplinati ed eccitati soldati africani, da cui ora è possibile temere dei terribili crimini di guerra sotto lo sguardo compiaciuto dei loro padroni francesi, che non sono alla loro prima atrocità in Africa, come tristemente ricorda il genocidio ruandese.
Come Stato, l’Algeria ha un margine molto ristretto di manovra contro la politica guerrafondaia della Francia e dei suoi alleati in Mali. Ma la Francia e i suoi alleati occidentali sono consapevoli del fatto che, se messa alle strette, l’Algeria ha risorse ancora sufficienti per ostacolarli in una zona in cui i fattori di resistenza al sistema di Françafrique sono molti di più di quanti si pensi.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora – gennaio 28, 2013
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Après la Libye et la Syrie, Algérie: l’objectif véritable final de la France dans la guerre contre le Mali.
Des militants d’Al-Qaïda d’être sacrifié dans un jeu malsain qui vise à créer déstabilisation en Algérie et ouvrir la voie à sa balkanisation “humanitaire” pour le compte de l’OTAN.
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L’Algérie première victime collatérale de la guerre française au Mali?
Plusieurs faits bizarres ont été passés sous silence par les médias mainstream. Cela vaut le coup d’y revenir pour mieux éclairer les enjeux qu’on cherche à nous cacher.
« Qui ose se frotter à l’Algérie risque de se faire piquer» (Ibrahim Boubacar Keita, ancien premier ministre malien)
Comme il était prévisible, le dénouement dramatique de la prise d’otages qui a eu lieu sur le site gazier de In Amenas suite à l’assaut sanglant des forces spéciales algériennes contre le groupe terroriste a fait réagir chancelleries et médias occidentaux qui ne pouvaient pas rater pareille occasion pour asséner leurs contre-vérités dans ce qui apparaît d’ores et déjà comme une véritable guerre psychologique contre l’Algérie. Malgré le matraquage médiatique de ces dernières 48 heures, plusieurs zones d’ombre continuent d’entourer cette opération. Raison de plus pour rester vigilants quand il s’agit de se pencher sur une affaire qui n’a pas fini de nous révéler tous ses dessous de cartes. Plusieurs faits bizarres ont été passés sous silence par les médias mainstream. Cela vaut le coup d’y revenir pour mieux éclairer les enjeux qu’on cherche à nous cacher.
D’abord, la première chose qui frappe dans l’attaque terroriste qui a visé la base-vie de In Amenas, c’est son caractère spectaculaire. Un groupe terroriste multinational de 32 personnes d’origines diverses (Algérie, Libye, Egypte, Tunisie, Mauritanie, Niger, France, Canada) entré de la Libye voisine. Plusieurs centaines d’otages dans un site énergétique aussi stratégique situé dans une région aussi surveillée. En dix années de sale guerre durant la décennie noire, aucun incident comparable n’a été signalé dans ces régions pétrolières et gazières du sud algérien qui constituent le poumon économique de l’Algérie puisqu’elles lui assurent l’essentiel de ses recettes en devises.
Dans cette opération spectaculaire, on ne peut pas exclure l’hypothèse d’une manipulation d’un des services secrets qui se livrent une guerre spéciale sans merci dans la région. Comme d’habitude, les accusations les plus contradictoires circulent sur la toile alimentées par les nombreux amateurs de complot. Mais faute d’indices probants et qu’on ne risque pas d’avoir dans le climat d’intoxication médiatique actuel, le mieux serait de chercher à démêler l’écheveau de cette affaire en nous concentrant sur la question essentielle : Quels sont les dividendes géopolitiques que pourraient engranger les différents protagonistes engagés dans une guerre qui a commencé bien avant l’intervention française au Mali ?
Premier élément bizarre dans cette histoire. La France intervient au Mali et déclare la guerre aux groupes islamistes, y compris au groupe Ansar Dine qui n’a jamais perpétré d’actions terroristes ni sur le sol malien ni ailleurs. Et que fait le groupe dissident d’Aqmi dirigé par Mokhtar Belmokhtar ? Il s’attaque à l’Algérie, c’est-à-dire au seul pays de la région qui a toujours exprimé son opposition à la guerre depuis que la France a commencé à s’y préparer avec ses larbins africains au risque d’apparaître comme le « parrain » d’Ansar Dine comme tendent à le faire accroire des sites spécialisés dans la propagande anti-algérienne. Aucune action n’a été enregistrée contre les nombreux Etats supplétifs de la France dans la région du Sahel et de l’Afrique de l’ouest qui ont décidé d’envoyer leurs bataillons au Mali et qui sont pourtant mille fois plus vulnérables que l’Algérie face à ce genre d’actions terroristes.
Bien entendu, le fait que Mokhtar Belmokhtar se soit prêté au jeu de la négociation en vue de sa reddition aux services de sécurité algériens, opération de reddition avortée il y a quelques années, ne manque pas de susciter la suspicion de certains analystes qui y voient un agent double. D’autres poussent le ridicule jusqu’à insinuer un coup tordu des services algériens sans se donner la peine d’expliquer dans ce cas l’essentiel à savoir le refus par l’Algérie de la « coopération » proposée par l’Otan. Pourquoi prendre la peine de monter une telle opération si on refuse par ailleurs ce qui est supposé en être le gain diplomatique par excellence ? En fait, dans toute guerre spéciale, les trahisons et retournements sont légion, c’est une raison supplémentaire pour éviter de sombrer dans les récits policiers, au risque de passer à côté de l’analyse des enjeux géopolitiques et stratégiques qui seuls devraient nous importer.
Second élément bizarre. L’attaque terroriste a eu lieu dans une base gérée conjointement par trois compagnies algérienne (Sonatrach) britannique (BP) et norvégienne(Statoil). Comment le groupe terroriste qui prétendait s’attaquer à l’intervention française au Mali comptait-il faire pression sur la France en s’attaquant à des groupes pétroliers qui sont de fait les principaux concurrents de la société française Total en Algérie ?
Mais le plus effarant dans la réaction des chancelleries et de certains médias occidentaux, c’est leurs réactions après l’assaut meurtrier des forces spéciales algériennes. Si Washington a rappelé qu’Alger ne l’a pas consulté sans plus de commentaire, le premier ministre britannique, David Cameron, s’est permis de critiquer la gestion de la crise par les autorités algériennes. Ces dernières auraient décidé d’intervenir trop vite sans demander l’avis des puissances concernées. Quelle audace de la part de ces puissances de demander à l’Algérie de négocier avec des terroristes qui ont piégé les corps de leurs otages et menacé de tout faire sauter alors que la France est intervenue au Mali au risque de mette en danger la vie des otages européens et algériens retenus par Aqmi et le Mujao !
Certes, si les dirigeants algériens qui ont pris la lourde responsabilité de donner l’ordre de l’assaut avaient la moindre chance de sauver la vie des otages par la négociation avec les ravisseurs et qu’ils ne l’avaient pas saisie, ils auraient commis une faute morale et politique impardonnable. Mais quand on sait le risque qu’ils couraient en se mettant à dos les Etats occidentaux dont les ressortissants risquaient de perdre la vie au cours de l’assaut, on se doute bien qu’ils étaient quasi-certains que toute autre solution que l’assaut aurait été plus coûteuse sur les plans humain, politique, diplomatique et économique.
Le cynisme des médias et des pseudo-spécialistes convoqués pour l’occasion n’a plus de bornes quand la dénonciation de la « brutalité » des forces spéciales algériennes provient de ceux-là mêmes qui trouvaient toujours des prétextes aux « bavures » des forces de l’Otan en Afghanistan et en Irak, qui n’hésitaient pas, rappelons-le, à bombarder des mariages, des funérailles et autres attroupements pacifiques. Saluons au passage la position courageuse de Robert Fisk qui a rappelé » dans sa chronique dans le quotidien The Independant que les médias occidentaux n’auraient pas réagi de cette façon si parmi les otages tués, il n’y avait pas des blonds aux yeux bleus mais seulement des Algériens !
Au-delà de la dimension humaine de ce drame qui a coûté la vie à tant d’innocents et au-delà du rôle joué par les services français et algériens, posons-nous la question qui importe le plus aujourd’hui : que recherchent les principaux protagonistes de cette crise ?
Pour les Français, le seul enjeu d’importance, qui vaut la peine que la diplomatie française fasse profil bas et feigne une posture « compréhensive » à l’égard de l’assaut de l’armée algérienne, est clair : entraîner l’Algérie dans leur sale guerre tant ils savent qu’ils ne pourront mener jusqu’au bout la bataille qu’ils livrent actuellement au Mali sans la collaboration de l’armée algérienne. Se faisant l’écho de chercheurs et d’experts-bidon comme d’habitude, le quotidien Libération a essayé de donner un semblant de justification logique au soi-disant « rapprochement franco-algérien » sur le dossier malien. La volte-face d’Ansar Dine qui a trahi la parole donnée à Alger en lançant ses forces vers le sud malien aurait fini par convaincre le président Bouteflika de changer son fusil d’épaule et de permettre aux avions de combat français de survoler l’espace aérien algérien.
Mais ce retournement algérien serait le prélude à un changement de stratégie envers les groupes islamistes qui ne serait ni plus ni moins qu’un retour vers la ligne d’éradication suivie dans les années 90 par l’état-major de l’armée algérienne. Pour William Lawrence : « Le déferlement surprise de combattants islamistes vers le sud du Mali en fin de semaine dernière a achevé de vaincre les réticences algériennes. Acculé, Bouteflika n’a pas pu s’opposer au survol du territoire par les avions français et à fermer la frontière avec le Mali, quitte à déplaire à une population sensible à toute manifestation d’un éventuel «néocolonialisme» de la France. La prise d’otages, inédite par son ampleur, devrait forcer Alger à revoir sa stratégie face aux islamistes.»
Le gouvernement français ne peut pas espérer mieux. Que cette opération puisse forcer Alger à « revoir sa stratégie face aux islamistes », entendez qu’il révise sa politique de dialogue et de réconciliation nationale qui lui a permis de reconstruire son front intérieur et qu’il revienne à la politique d’éradication à laquelle appellent les cercles les plus antipopulaires au sein de l’armée et de la classe politique algériennes au risque de provoquer un retour aux vieux démons de la guerre civile et donner ainsi un bon prétexte à l’intervention étrangère le jour J.
Mais les faits sont têtus et il n’est pas sûr que les souhaits exprimés par Libération soient exaucés de sitôt. Même s’il est attesté que l’Algérie a été déçue par les dirigeants d’Ansar Dine qui ont effectivement donné à la France un prétexte commode en vue de précipiter son intervention au Mali, il faut être vraiment idiot pour croire un seul instant que la France avait besoin de ce prétexte pour mener une guerre à laquelle tout indiquait qu’elle s’y préparait pour des raisons qui ont peu de choses à voir avec les mobiles avancés.
Depuis le début de la crise malienne, l’Algérie n’a jamais cessé de subir des pressions énormes pour participer à cette guerre ou du moins pour qu’elle ne s’y oppose pas activement. C’est sous la pression des Américains et pour ne pas perdre complètement le contact avec ses voisins africains –puisque malheureusement on ne choisit pas ses voisins- que le gouvernement algérien a sans doute autorisé le survol de son espace aérien par les avions de combat français. Cependant, aussi bien l’opinion publique que les dirigeants algériens sont divisés sur la question. Certains pensent- à tort- que c‘est un moindre mal pour s’épargner les foudres de l’oncle Sam surtout que dans cette guerre, la France n’a pas seulement bénéficié du soutien prévisible de ses alliés de l’Otan, à leur tête les USA et la Grande Bretagne, mais aussi du soutien, plus surprenant, des deux autres membres du Conseil de sécurité, la Russie et la Chine.
Mais d’autres voix, y compris au sein du système algérien mettent en garde- à juste titre- contre les répercussions négatives de ce qui pourrait apparaître comme un alignement sur la croisade française au Mali sur la cohésion nationale dans un contexte politique doublement fragilisé par les tensions sociales et les luttes intestines qui déchirent la classe politique sur fond de guerre de succession au président Bouteflika. Il est donc permis de penser que cette opération dont il était attendu le renforcement des clans pro-atlantistes au sein du système algérien risque de déboucher sur le résultat inverse. Ceux qui n’ont pas cessé de tirer la sonnette d’alarme en mettant en garde contre les ondes de choc de la guerre dans toute la région seront confortés dans leur position.
L’Algérie apparaît désormais comme la première victime collatérale de la guerre française au Mali, ce qui ne peut que renforcer les adversaires de la politique belliciste française au sein du système algérien. Et c’est peut-être ce qui explique les réactions assez partagées des capitales occidentales au lendemain de l’assaut des forces spéciales algériennes. Si elles ne pouvaient que se féliciter de la neutralisation du groupe terroriste, ces capitales ne pouvaient pas admettre le fait qu’elles n’aient pas été consultées par le gouvernement algérien. C’est un indice qui ne trompe pas. Si les « amis » des cercles occidentaux avaient le contrôle de l’opération, il aurait été difficile d’imaginer un tel scénario.
L’opinion publique algérienne qui reste dans sa majorité hostile à l’interventionnisme occidental et particulièrement français dans les pays arabes et musulmans ne s’y est pas trompée. Elle a accueilli avec soulagement et fierté ces critiques occidentales dans la mesure où elle y voit une preuve que l’Etat algérien demeure malgré tout accroché à ce qui lui reste d’une indépendance et d’une souveraineté nationales malmenées par les ingérences des grandes puissances, l’ouverture économique sauvage des années 90 sous la pression du FMI et de la Banque mondiale et la montée d’une bourgeoisie compradore qui s’est développée à l’ombre des privatisations et de l’économie rentière et qui a réussi à corrompre de larges secteurs de l’Etat et à l’affaiblir.
Quels que soient les dessous de cartes de cette opération terroriste, une chose est sûre. Cette opération se devait objectivement d’influencer l’issue de la bataille que se livrent les partisans de la dérive atlantiste qui prennent prétexte de l’isolement diplomatique apparent de l’Algérie pour aller jusqu’au bout de la « normalisation » tant recherchée par les capitales occidentales et les partisans d’une indépendance nationale chèrement acquise mais qui est aujourd’hui plus que jamais menacée par la mondialisation, la dépendance à l’égard de l’économie pétrolière et l’alliance entre la bourgeoisie compradore et les centres impérialistes. Des voix de soi-disant « experts », relayées par les médias algériens, à la solde des hommes d’affaires proches des cercles néocoloniaux, s’élèvent pour critiquer les inconséquences de l’Etat algérien dans sa lutte contre les groupes islamistes armés quand elles ne l’accusent pas carrément de complicité dans ce qui s’apparente à un chantage obscène repris comme un refrain par des sites spécialisés dans la désinformation : soit tu manges du musulman soit on t’accuse d’en être le complice ou l’instigateur !
L’opération terroriste de In Amenas s’inscrit dans ce cadre. S’agit-il d’une diversion tactique en vue de déplacer le centre des combats du Mali et desserrer l’étau qui étrangle leurs acolytes dans ce pays ou s’agit-il, plus gravement, d’une sorte de « répétition générale » d’une agression plus consistante en cours de préparation contre un des derniers obstacles au redéploiement de l’Empire dans la région ? Le fait que pour la première fois, en vingt ans de crise, un site gazier, et pas des moindres, puisqu’il s’agit d’un site qui procure 15% de la production algérienne, ait été la cible d’une opération de guerre, pourrait cacher des desseins autrement plus sombres. Rappelons-nous les « indiscrétions » de Sarkozy distillées par la presse disant que l’Algérie serait la prochaine sur la liste après la Libye et la Syrie.
Nul doute que les pressions internationales vont se multiplier sur l’Algérie pour lui faire endosser le rôle de gendarme dans la région du Sahel. Dans une mouvance islamiste sujette aux infiltrations les plus diverses, il y aura toujours des « idiots utiles » pour faire le jeu des puissances à la recherche du moindre prétexte pour intervenir dans une région riche en pétrole et en minerais précieux. Mais est-ce un argument suffisant pour justifier l’injustifiable collaboration avec une France qui a le culot de se présenter en pompier alors qu’elle est le véritable pyromane du brasier parti de Libye pour consumer aujourd’hui le Mali et qui menace d’atteindre d’autres pays de la région ?
Si l’Algérie serait mal avisée de se mettre à dos toute une « communauté franco-africaine » soutenue logistiquement par l’Otan et diplomatiquement par ses partenaires stratégiques russe et chinois, il n’est pas dit qu’elle ne dispose pas de ressources pour tenir jusqu’au moment, qui ne saurait tarder, où le pompier-pyromane français et ses larbins africains vont s’embourber dans le désert sahélo-saharien et dévoiler la véritable nature de leur guerre dont les premières exactions commises par l’armée malienne, qui ont commencé par inquiéter les organisations humanitaires internationales, ne sont que le signe précurseur de ce qui attend le Mali : massacres collectifs et retournements géopolitiques en perspective. Les alliés d’aujourd’hui risquent de devenir les adversaires de demain. Les larbins qui applaudissent aujourd’hui l’intervention française contre leurs frères du nord apprendront à leur dépens, plus vite qu’ils ne le pensent, que la France n’est pas venue pour les libérer des groupes djihadistes, quand elle leur imposera son projet d’une large « autonomie » de l’Azawad pour mieux exploiter le pétrole et l’uranium du nord Mali.
L’Algérie qui a tout intérêt à rester à l’écart de ce conflit et défendre sa sécurité en envoyant des messages forts comme celui qu’elle vient d’envoyer de In Amenas ne doit pas oublier son devoir de solidarité avec les populations du nord Mali qui risquent de vivre des lendemains terribles entre les mains d’une soldatesque africaine indisciplinée et excitée dont il est permis de redouter dès maintenant des crimes de guerre effroyables sous le regard complaisant de ses maîtres français qui n’en sont pas à leur premier forfait en Afrique comme le rappelle tristement le génocide rwandais. En tant qu’Etat, l’Algérie a une marge de manœuvre très étroite face à la politique belliciste de la France et de ses alliés au Mali. Mais la France et ses alliés occidentaux n’ignorent pas que, si elle est acculée, l’Algérie a néanmoins assez de ressources pour jouer au trouble-fête dans une région où les facteurs de résistance au système de la Françafrique sont plus nombreux qu’on le croit.
Par Mohamed Tahar Bensaada – le 19 janvier, 2013
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