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Da Erdoğan ancora accuse ridicole alla Siria
~ Per la terza volta in meno di due settimane, il primo ministro turco Recep Tayyip Erdoğan (foto) è tornato ieri ad attaccare il governo di Damasco. “Il regime di Assad si avvicina alla sua fine inevitabile”, ha detto il capo del governo di Ankara nel corso del suo intervento alla conferenza Yalta European Strategy, durante il quale ha inoltre affermato che “la situazione in Siria non si è prodotta a causa di forze esterne, ma in ragione di una reazione del popolo siriano che si preparava da vari anni”.
“Questo regime non pensa alla democrazia, è un regime dittatoriale – ha proseguito – dobbiamo dire no a questa tragedia, impedendo che le fiamme si propaghino all’intera regione. L’unico obiettivo della comunità internazionale è di fare in modo che la Siria divenga democratica, nel rispetto dell’integrità territoriale”. Dichiarazioni risibili quelle del premier turco: in primo luogo perché se davvero questa situazione fosse il frutto di anni di dittatura, allora lui stesso sarebbe stato per anni un alleato di quella stessa dittatura; e in secondo luogo perché gli effetti dell’esportazione della democrazia occidentale sono oggi sotto gli occhi tutti. Basta osservare la Libia, frazionata e affidata alle mani “sapienti” degli estremisti islamici che ora si sono rivoltati contro i loro stessi “liberatori”.
Gli interessi reali di Erdoğan su Paese arabo sono ben altri, non ultimo quello di sferrare un colpo decisivo ai ribelli del Partito curdo dei lavoratori che si trovano oltre confine. Non è un caso, infatti, che in questo clima di guerra, dove tutta l’attenzione è spostata sul conflitto siriano, Ankara abbia lanciato un’imponente offensiva armata nel sud-est del Paese contro il Pkk che solo nell’ultima settimana ha fatto almeno 80 morti: fra i quali 75 miliziani e 4 soldati turchi. Le vittime dall’inizio dell’anno sono invece oltre 500, per un totale di 974 operazioni militari, alcune delle quali compiute anche su suolo iracheno e siriano, ovviamente senza il consenso dei rispettivi Paesi.
E mentre il premier turco tenta ancora una volta di mostrare all’opinione pubblica una sua personalissima versione dei fatti, c’è chi, come la Cina, tenta realmente di mettere fine pacificamente al conflitto promuovendo il dialogo fra le parti. Il governo di Pechino ha infatti annunciato, sempre ieri, che la prossima settimana riceverà una delegazione dell’opposizione siriana. Un incontro che segue a quello dell’inviato delle autorità di Damasco recatosi in Cina nell’agosto scorso. Nel comunicare la notizia alla stampa, il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Hong Lei, ha sottolineato come più volte negli ultimi il suo governo abbia invitato “tutte le parti in causa” a rinunciare alla violenza e a iniziare “al più presto un dialogo pacifico”.
Uno sforzo verso una mediazione reale, quello della Cina, che dovrà però trovare il sostegno anche del nuovo inviato speciale di Nazioni Unite e Lega araba, Lakhdar Brahimi, da giovedì nella capitale siriana per una serie d’incontri istituzionali.
Un nome, quello di Lakhdar Brahimi, che non fa però presagire nulla di buono essendo infatti stato quest’ultimo uno dei principali sostenitori della guerra in Afghanistan e dell’aggressione all’Iraq.
Matteo Bernabei – Rinascita quotidiano
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